martedì 20 febbraio 2018

Le Parole Intraducibili (parte I)

Quando si vuole esprimere un concetto complesso, in genere si ricorre a una locuzione, specie se questo è anche correlato a un particolare stato d'animo. In alcune lingue esiste un termine specifico per farlo, ma non è detto che abbia un corrispettivo nelle altre lingue. Per esempio, la parola inglese daydream, ovvero "sognare a occhi aperti", in italiano potrebbe essere resa col termine "fantasticare", mentre in finlandese con la parola haaveilla. Ecco invece alcuni esempi di parole che esprimono un concetto, ma non direttamente traducibili in italiano.

Hygge (danese, norvegese)
Indica una situazione in cui si prova un senso di profonda rilassatezza, comodità e familiarità.

Yakamoz oppure Gumusservi (turco)
Queste due parole (le ho trovate entrambe, quindi immagino siano sinonimi) vengono utilizzate per indicare il riflesso della luna sull’acqua.

Mångata (svedese)
Più specifico ancora dell’analogo termine turco, in quanto indica il riflesso della luna nel mare.

Aware (giapponese)
Questo termine descrive quella sensazione agrodolce che si ha quando si sta vivendo un momento di particolare bellezza.

Waldeinsamkeit (tedesco)
Questa parola descrive una sensazione simile a quella che si prova quando si è soli in un bosco, ovvero quando ci si sente sperduti e impauriti, senza sapere che direzione si debba prendere.

Gökotta (svedese)
Il termine indica lo svegliarsi all’alba in modo da poter sentire il primo canto degli uccelli.

Schadenfreude (tedesco)
Traducibile come “gioia perversa”, indica quel sentimento di malevola soddisfazione che si ha quando si osservano gli altri in difficoltà, comparando le altrui disgrazie alle proprie e provando di conseguenza una sorta di “sollievo” perverso nel constatare che non tutti i mali colpiscono soltanto noi.

Fargin (yiddish)
Diametralmente opposto alla schadenfreude, indica quel sentimento di sincera felicità che si prova quando si viene a sapere del successo ottenuto da qualcun altro.

Forelsket (danese, norvegese)
Il termine indica la sensazione che si prova la prima volta che ci si innamora.

Fernweh (tedesco)
Questa espressione, traducibile come "nostalgia della lontananza", descrive il desiderio di abbandonare le abitudine date dalla propria routine quotidiana per andare a esplorare la vastità del mondo.

(CONTINUA...)

25 commenti:

  1. Rubrica interessantissima, è una delle materie che più amo tra quelle che ho studiato.
    Che dire, in alcuni casi il concetto si potrebbe anche rendere con un'unica parola italiana, a volte no... :)

    Moz-

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  2. Conoscevo solo i termini "Aware" e "Schadenfreude", il primo dal racconto "Mono no Aware" ed il secondo perché avevano chiamato così un personaggio dei fumetti di X-Files, pensa un po' te! ;)

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    1. Prima di questo post conoscevo solo le parole hygge e anch'io schadenfreude. :)

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  3. Ma bello! Sai che questo succede spesso anche con i dialetti? C'erano dei termini che usava mia nonna che tradotti in italiano non avrebbero fatto lo stesso effetto 😂😂

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  4. Che bella rubrica! :) Dei termini proposti conoscevo solo Schadenfreude. E' proprio vero che ogni lingua ha dei termini non traducibili, se non altro per la musicalità della parola stessa. Nell'Ottocento, ad esempio, gli autori francesi usavano spesso il termine italiano "vendetta" nei loro romanzi d'appendice perché non si poteva proprio rendere con la stessa efficacia!

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  5. Io posso parlare solo per lo svedese e dirti che mångata significa alla lettera "strada della luna", che sarebbe quindi una descrizione poetica dell'effetto visivo che dà il riflesso della luna sull'acqua del mare, come di qualcosa su cui puoi camminarci sopra.

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    1. E' bellissima questa spiegazione che hai dato, ti ringrazio! :)

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    2. Figurati! :-) Tra l'altro la vocale dell'alfabeto svedese "å", che nel post hai reso con la semplice "a", si pronuncia come una o allungata che nel suo finale accenna a diventare una a.

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    3. Quindi mooangata? :)
      Comunque in realtà non l'ho resa io: è colpa del font Georgia. Anche una parola norvegese del prossimo post aveva la ae unita foneticamente e ho dovuto scriverle per forza separate.
      A questo proposito, (forse) apprezzerai questo:
      www.youtube.com/watch?v=f488uJAQgmw

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  6. Sì, mooangata è un'approssimazione accettabile.
    In effetti ÆØÅ è niente male. Il vero mistero è come fai a rintracciare questi video impossibili ;-)

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    1. Pardon, mi sono fatto trascinare dalla fretta. La vera approssimazione accettabile è: mooangota. In questa parola, come in molte altre simili, la seconda a si legge o.

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    2. Caspita, quanto a pronuncia sembra proprio complicato lo svedese. Mi ricorda Checco Zalone quando in Quo Vado si mette a studiare il norvegese.

      Quanto ad ÆØÅ ti sarai penso accorto che il ritornello rubacchia la celeberrima Melodia Araba di Hunten.

      https://www.youtube.com/watch?v=npQUK_OJONA
      (questa è The Streets of Cairo, la versione di Thornton)

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    3. No, di questo sinceramente non mi ero accorto.

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  7. Bellissima questa rubrica! Io conoscevo solo il termine “Aware” che viene citato da Banana Yoshimoto per descrivere il mondo emozionale degli adolescenti e, inoltre mi trovo perfettamente d’accordo con Giulia rispetto ai termini dialettali intraducibili, o che tradotti in italiano perdono molte sfumature. Per esempio, mio nonno (mantovano come tutti i miei ascendenti) definiva il leggero sentore di pesce o uovo delle stoviglie lavate senza aggiunta di aceto o limone al detersivo, con un semplice “Freschin”. Oppure ricorreva al termine “Barlafüss” per letteralmente indica un oggetto inutile, per definire un buono a nulla, una persona “da poco”. :D :D

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    1. Bellissimo il termine freschin. Mi avete dato l'idea per estendere ulteriormente la rubrica! :)

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  8. Yakamoz è più o meno traducibile con Gibigiana in italiano

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    1. Più o meno sì... Ma la gibigianna è il barbagliare della luce sull'acqua, mentre yakamoz indica nello specifico che la luce sia quella lunare, e mangata ancora più nello specifico l'acqua del mare.

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  9. Dunque, nel lontano ma neppure tanto, febbraio 2018, mentre tu scrivevi questo interessantissimo post, io avevo chiuso il mio vecchio blog e cercavo con insistenza il nome del nuovo. Ho cercato il nome del nuovo blog per mesi, senza approdare a nulla. E se non avessi trovato il Nome, sapevo che non avrei mai dato inizio a nessun nuovo progetto. Nomi e parole hanno sempre rappresentato l'unica via che mi tiene salda per percorrere il mondo e la mia esistenza - considerato, peraltro, la mia natura distratta.
    Dicevamo, è probabile che negli stessi giorni di questo tuo post, io mi sia per puro caso finalmente imbattuta nello stesso filone delle parole intraducibili: ed è stato amore a prima vista. Un fascino e una fascinazione senza precedenti, tanto da farmi capire che il nuovo blog sarebbe potuto nascere solo ed esclusivamente da una parola intraducibile.
    E' così che è venuto fuori Dadirri. Con tutte le spiegazioni del caso che ho tenuto ferme in una pagina.
    Le parole intraducibile ho continuato a collezionarle. Dunque, pensa quanto io sia felice di essere approdata qui...

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    1. Allora, sono andato a leggere sul tuo blog la pagina in questione.
      E io che pensavo che Dadirri fosse un termine siculo, ma pensa te! 😄
      Inoltre Irene significa Pace, ma Marco significa "sacro al dio Marte", che era il dio della guerra. E i latini dicevano "nomina sunt consequentia rerum". Per me ci avevano preso!

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    2. Però i latini dicevano anche: “ Si vis pacem, para bellum.” ☺️

      “Dadirri” è bellissima. E’ una parola che mi portavo dentro da sempre. Suono compreso. Per quello somiglia alla Sicilia e un pò a me.

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    3. Abbiamo proprio trovato una passione comune... Tant'è che alcune di queste parole le ho inserite nel mio libro, perché sono in grado di veicolare con unico termine dei concetti molto belli e anche meravigliosamente profondi.

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