La settimana scorsa non è
stata particolarmente gratificante dal punto di vista
lavorativo, a causa di alcune situazioni che si sono verificate e su cui preferisco glissare. Venerdì sera, tornando da lezione, ho anche trovato un bel messaggio di posta ad
attendermi, giusto per concludere coerentemente.
Per quanto riguarda la mia attività letteraria, devo dire che non mi sento come uno di quegli autori frustrati. Certo, mi piacerebbe sempre "fare il salto di qualità" in termini di visibilità e diffusione (nonché di guadagni), ma ho avuto le mie soddisfazioni e me la vivo con serenità.
Di recente la promozione del mio libro mi
ha portato a contattare una biblioteca di un piccolo paese del nord Italia (poco più di 15.000
anime). La maggior parte
delle volte che mi adopero in tal senso non ricevo riscontri, qualche volta ottengo risposte educate o positive (le quali
ovviamente fanno piacere), mentre è capitato piuttosto raramente di avere delle risposte sgradevoli. A queste
ultime non ho mai controrisposto. Tranne in questo caso.
La mail che ho ricevuto non la pubblico: non sarebbe corretto farlo, essendo parte di una conversazione privata. Pubblico invece quanto ho risposto.
Faccio una premessa: non cerco solidarietà, non intendo far polemica, né scatenare indignazione o altro. Il mio intento è indicare una situazione che temo sia abbastanza diffusa e far riflettere su come viene veicolata la cultura letteraria nel nostro paese. Perché se è vero che non mi sento frustrato, episodi di questo tipo ti lasciano comunque addosso un senso di sconforto e di amarezza, perché rappresentano un fallimento per l'autore, visto che non gli viene data la possibilità di raggiungere un potenziale pubblico.
Nella mail che ho ricevuto, lo scrivente esordisce facendomi dei complimenti esortativi alla mia attività letteraria (un po' una presa in giro, alla luce delle righe successive). Sfortunatamente per il mio libro, ritiene però che sia “piuttosto prematuro” procederne all’acquisto: anche perché questa biblioteca, attraverso i suoi fornitori, acquista unicamente volumi di “case editrici di chiara fama”. Tuttavia auspica che un giorno io possa essere a scaffale nella loro biblioteca.
Dunque la cultura la fanno le case editrici di chiara fama: solo queste meritano l'acquisto di libri. E le altre più piccole e il self publishing? Si arrangino, i loro autori dovrebbero già essere contenti dando qualche copia ad amici e parenti, perché se non hanno raggiunto la grande editoria è evidente che non sono meritevoli. Sorvoliamo sul fatto che una biblioteca è patrimonio di tutti, che la fa il grande come il piccolo, che il suo valore trascende il marchio commerciale. Anche perché in realtà la situazione non è affatto così semplicemente riduttiva: basta conoscere un pochino i meccanismi dietro la selezione dei manoscritti e la loro pubblicazione.
La cosa, mi viene spiegato in una mail successiva, è deputata al fornitore, il quale sulla base delle normative vigenti (ma ne siamo sicuri?), decide ciò che possa venire acquistato (ma non sarebbe un monopolio?). Ed è giusto questo? Trovate giusto che siano sempre i grandi e i potenti a vincere, in qualsiasi settore?
Non dico di boicottare la grande editoria, per carità: dico solo di essere maggiormente consapevoli, di smetterla di ragionare per compartimenti stagni e di fare acquisti a scatola chiusa, basandosi sul marchio commerciale, ma di guardare davvero al libro, che non è un insieme di parole, ma si porta dietro una storia, strettamente intrecciata a quella del suo autore. Costa tempo e fatica, è vero, ma chi l'ha detto che la cultura non richieda impegno?
Sono stanco di tutto questo. Ma come vedete, continuo a essere ancora molto battagliero. Qui di seguito qual è stata la mia risposta alla mail.
La mail che ho ricevuto non la pubblico: non sarebbe corretto farlo, essendo parte di una conversazione privata. Pubblico invece quanto ho risposto.
Faccio una premessa: non cerco solidarietà, non intendo far polemica, né scatenare indignazione o altro. Il mio intento è indicare una situazione che temo sia abbastanza diffusa e far riflettere su come viene veicolata la cultura letteraria nel nostro paese. Perché se è vero che non mi sento frustrato, episodi di questo tipo ti lasciano comunque addosso un senso di sconforto e di amarezza, perché rappresentano un fallimento per l'autore, visto che non gli viene data la possibilità di raggiungere un potenziale pubblico.
Nella mail che ho ricevuto, lo scrivente esordisce facendomi dei complimenti esortativi alla mia attività letteraria (un po' una presa in giro, alla luce delle righe successive). Sfortunatamente per il mio libro, ritiene però che sia “piuttosto prematuro” procederne all’acquisto: anche perché questa biblioteca, attraverso i suoi fornitori, acquista unicamente volumi di “case editrici di chiara fama”. Tuttavia auspica che un giorno io possa essere a scaffale nella loro biblioteca.
Dunque la cultura la fanno le case editrici di chiara fama: solo queste meritano l'acquisto di libri. E le altre più piccole e il self publishing? Si arrangino, i loro autori dovrebbero già essere contenti dando qualche copia ad amici e parenti, perché se non hanno raggiunto la grande editoria è evidente che non sono meritevoli. Sorvoliamo sul fatto che una biblioteca è patrimonio di tutti, che la fa il grande come il piccolo, che il suo valore trascende il marchio commerciale. Anche perché in realtà la situazione non è affatto così semplicemente riduttiva: basta conoscere un pochino i meccanismi dietro la selezione dei manoscritti e la loro pubblicazione.
La cosa, mi viene spiegato in una mail successiva, è deputata al fornitore, il quale sulla base delle normative vigenti (ma ne siamo sicuri?), decide ciò che possa venire acquistato (ma non sarebbe un monopolio?). Ed è giusto questo? Trovate giusto che siano sempre i grandi e i potenti a vincere, in qualsiasi settore?
Non dico di boicottare la grande editoria, per carità: dico solo di essere maggiormente consapevoli, di smetterla di ragionare per compartimenti stagni e di fare acquisti a scatola chiusa, basandosi sul marchio commerciale, ma di guardare davvero al libro, che non è un insieme di parole, ma si porta dietro una storia, strettamente intrecciata a quella del suo autore. Costa tempo e fatica, è vero, ma chi l'ha detto che la cultura non richieda impegno?
Sono stanco di tutto questo. Ma come vedete, continuo a essere ancora molto battagliero. Qui di seguito qual è stata la mia risposta alla mail.
Buonasera.
Indubbiamente concordo con
lei che un buon prodotto librario possa unicamente essere reperito in una casa
editrice di chiara fama.
Per esempio Bruno Vespa pubblica con Mondadori. Lapo Elkann con la Add Editore (che ha tra i suoi soci fondatori Andrea Agnelli).
Nel fervente panorama letterario italiano la mia umile opera non può che scomparire e il suo autore arrendersi all'evidenza di non essere nessuno.
Per esempio Bruno Vespa pubblica con Mondadori. Lapo Elkann con la Add Editore (che ha tra i suoi soci fondatori Andrea Agnelli).
Nel fervente panorama letterario italiano la mia umile opera non può che scomparire e il suo autore arrendersi all'evidenza di non essere nessuno.
Anzi: prematuro, come
diceva lei. Pazienza. Auspico anch'io che un giorno i tempi siano maturi perché
io sia a scaffale nella vostra biblioteca.
Insomma, le faremo sapere.
Per ora grazie, ma non ci serve nulla. Ripassi quando sarà qualcuno. Tanti
saluti, buone feste... L'ho già ordinato l'ultimo libro di Fabio Volo?
Ok, perdoni la mia ironia.
Sono piemontese e noi siamo fatti così.
Io ci ho provato con le
case editrici di chiara fama. Purtroppo non ce la si fa proprio. Le grosse case
non intendono scommettere su nuove proposte. Preferiscono andare sul sicuro. Lei lo sa che alcune di
esse non valutano nemmeno proposte editoriali?
Ma evito di dilungarmi.
Annoio già a sufficienza i miei poveri studenti, si figuri.
Ma io autore, cosa dovrei
fare? Lasciar perdere qualcosa in cui credo con tutto me stesso? Allora faccio
ciò che posso, autopubblicandomi.
Il che significa: scrivere, editare, revisionare, impaginare, creare la copertina, redigere la quarta, creare da zero l'e-book, promuovermi.
Il che significa: scrivere, editare, revisionare, impaginare, creare la copertina, redigere la quarta, creare da zero l'e-book, promuovermi.
Tutto da solo.
E credo di meritare
rispetto per questo.
Marco Lazzara
Io non ci provo neppure con le biblioteche, e comunque il pregiudizio verso noi autopubblicati ha una ragion d'essere riassumibile in "se sei davvero così bravo avresti trovato un editore".
RispondiEliminaIo sono già andato oltre, mi reputo uno scribacchino dilettante e dunque neppure considero quel che c'è di "istituzionale". Io punto direttamente ai lettori, amen.
In quanto al rispetto, ormai è merce rara anche al di fuori dell'agone letterario.
Direi che tu hai raggiunto una visione zen superiore alla mia. Io sono ancora nella fase "battagliera."
EliminaE mi trovo a concordare, purtroppo, anche sulla questione rispetto. O anche solo sulla buona educazione.
Più che "fallimento dello scrittore", tutto ciò mi viene da definirlo "fallimento del bibliotecario"...
RispondiEliminaInfatti, quella è una delle cose che più mi sconcerta.
EliminaCon una mentalità del genere guadagnano solo i grandi, mentre i piccoli sono destinati a sparire, e il panorama letterario s'impoverisce.
Lasciamo perdere le biblioteche, io ho il dente avvelenato con la mia: una faraonica biblioteca costata non so quanti soldi dei contribuenti. Dietro indicazione di un conoscente, avevo consegnato alcune copie in dono dei miei libri all'attenzione del direttore nome e cognome. dopodiché i libri sarebbero stati registrati e messi sullo scaffale degli scrittori del territorio. Da quel momento i libri sono spariti nel nulla, e altre persone mi avevano detto che pare che molti libri donati scompaiano, forse per essere rivenduti, e che bisognerebbe addirittura andare in municipio per protocollare la donazione. Naturalmente ho bombardato il direttore di mail e alla minaccia di rivolgermi agli organi di stampa (erano passati quasi due anni), i libri improvvisamente sono saltati fuori, catalogati e messi a scaffale. Computo di tempo: 2 anni e mezzo. T'assicuro che piuttosto che regalare loro anche soltanto un mio racconto fotocopiato me lo mangio nell'insalata.
RispondiEliminaUna mia amica ha presentato un suo libro in una biblioteca della mia zona, e dietro loro insistenza gliene ha donato una copia. Dalle mie parti c'è lo scambio librario: puoi farti mandare i libri di un'altra biblioteca in quella della tua città. Il libro della mia amica è stato messo con una collocazione libraria per cui può essere preso in prestito solo recandosi fisicamente in quella biblioteca che ce l'ha. Ed è così da più di due anni, infatti la mia amica è incazzatissima con loro (giustamente).
EliminaUna curiosità: ti ha risposto oltre?
RispondiEliminaSecondo me, comunque, non voleva offenderti, nemmeno tra le righe. O almeno, lo spero.
Moz-
Guarda, il tono almeno era educato. Perché mi è anche capitato di ricevere risposte provocatorie.
EliminaIn questa non c'è era nessuna palese offesa, ma il messaggio tra le righe era: "Ma tu, chi cazzo sei? Ma cosa pretendi, ché non sei nessuno! Ma vedi di andartene."
Comunque sì, mi ha risposto, sostenendo che è il fornitore a decidere. Cazzate, insomma, io questi ambienti li conosco, le biblioteche si riforniscono nelle librerie (e dove sennò?): in una libreria puoi acquistare quello che ti pare, basta che abbia l'ISBN. Si tratta unicamente di una scelta.
Fare riferimento alle "normative vigenti" è un modo per zittire l'altro millantando conoscenze che si suppone non abbia. Se questa minchiata fosse vera, le biblioteche italiane avrebbero a scaffale solo libri di Mondadori e Rizzoli.
Sì, infatti. Lo so come funzionano.
EliminaEvidentemente è vero che c'è qualcuno lì che decide, e hanno una linea ben precisa. Mi sento di dire questo, al di là del tono del tizio...
Moz-
Senz'altro, ma le linee guida le facciamo e le dobbiamo fare noi! Perché la biblioteca è dei cittadini, non di un manipolo di tizi che decide cosa è buono e cosa no, e lo fa basandosi non su di un'analisi critica (che perlomeno avrebbe un suo perché), ma unicamente attraverso il marchio commerciale. Si guarda il marchio come indice di garanzia invece del prodotto.
EliminaPiù o meno è come dire che acquisteresti della marmellata di merda, se la vendesse la Ferrero.
A me non è stato detto: "il tuo libro no, perché non ci interessa il genere o la trama"; mi è stato detto "il tuo libro no, perché non è di una casa editrice di chiara fama."
Sei stato fin troppo educato. Ammetto che anche io avrei evitato di trascendere, però, cavoli, una biblioteca dovrebbe avere di tutto e offrire la più vasta gamma di offerte letterarie. proprio perché biblioteca e non succursale di vendita delle "case editrici di chiara fama". Tiriamo dritto e non ci pensiamo, c'è poco da fare. Se non perseverare, ovviamente.
RispondiEliminaHai indubbiamente ragione su tutta linea. Devo dirti che mi è capitato di ricevere risposte persino peggiori, addirittura una era volutamente provocatoria. Non ho mai controrisposto a nessuna di queste, perché non mi sembrava il caso. Questa volta invece sì, perché è stato quel "case editrici di chiara fama" a non essermi proprio andato giù.
EliminaMa io continuo lo stesso, non mi ferma certo una miope bibliotecaria!
Grazie del passaggio, Massimiliano. :)
Questo post che mi hai linkato va a nozze col mio, praticamente.
RispondiEliminaÈ come hai scritto tu: ma chi lo stabilisce che solo le CE "di chiara fama" debbano comandare il mercato?
I soldi, perché hanno tutti i loro giochini, i loro aggancini e i loro autorini raccomandati.
E questo non favorisce certo né l'aumento del numero di lettori (molti mollano anche perché i libri delle CE grosse spesso fanno pena) né il progredire della cultura letteraria.
E poi una biblioteca che risponde così... ma vaff... e rivaff...
Te l'ho indicato proprio perché capisco quanto hai scritto, su questa questione ci si batte di continuo e sembra di lottare coi mulini a vento.
EliminaQuanto alla biblioteca: una volta in un altro posto mi hanno risposto in maniera molto provocatoria. Io però ho evitato di rispondere, perché tanto non serve a nulla.
Sulla blogosfera vedo invece una controtendenza: cioè a dare fiducia ad autori fuori dai circuiti tradizionali. Meno male.