lunedì 29 febbraio 2016

Ore d’Orrore II – La Morte Personificata (parte 1)

Ben ritrovati, piccoli vampirettini miei. Come state? Il vostro caro Dottor χ è ancora una volta qui assieme a voi per un nuovo, spaventoso, appuntamento con Ore d’Orrore.
Nel nostro percorso di analisi degli archetipi dell'orrore è giunto il tempo di esaminare la figura di colei che è chiamata anche la grande consolatrice. Spero che nessuno di voi soffra di tanatofobia, perché oggi parleremo dell’oscura signora con la falce: preparatevi a danzare con la Morte Personificata!


Ore d’Orrore
“Ci sono molte buone ragioni per avere paura del buio”

“Chi è colui così gagliardo e forte che possa vivere senza poi morire? E da colei ch'è tutto, Madonna Morte, l'anima sua possa far fuggire? La Morte schifosa, la Morte lasciva! La Morte! La Morte! La Morte che arriva!” (Tiziano Sclavi, Dylan Dog – Attraverso lo Specchio)

Folklore Europeo
Lo psicopompo è una figura (in genere una divinità, ma può anche essere un animale) che svolge la funzione di accompagnare le anime dei trapassati nell'oltretomba. Alla morte stessa viene spesso attribuita forma umana, e quella della Morte Personificata è un’immagine esistente fin dall’antichità nella mitologia e nella cultura popolare di diverse parti del mondo. In alcune tradizioni, oltre ad accompagnare le anime degli uomini nel regno dei morti, ne è anche giudice, ovvero ne stabilisce la destinazione nell’aldilà.
Nella mitologia greca, la personificazione della morte era Thanatos, figlio di Nyx (la Notte), che l’aveva concepito da sola, e fratello gemello di Hypnos (il Sonno). Thanatos aveva un cuore di ferro e viscere di bronzo ed era in genere considerato un nemico implacabile del genere umano, inviso persino agli immortali. Veniva rappresentato come un bambino nero con piedi deformi (a volte invece erano semplicemente incrociati), altre volte come un giovane oppure come un vecchio barbuto e alato. In alcune sculture compare con un viso smagrito, coperto da un velo, gli occhi chiusi e con una falce in mano. La sua dimora era nel Tartaro (gli Inferi) e suo compito era scortare le anime dei defunti al fiume Stige, dove si trovava la barca di Caronte che le avrebbe condotte nell’aldilà.
Altre figure connesse alla Morte erano le Moire, che filavano il destino degli uomini su di un telaio e recidendone i fili ne decretavano la morte; loro corrispettive nella mitologia romana erano le Parche, in quella norrena le Norme.
Per i Romani la personificazione della Morte era Mors, raffigurato come un essere pallido, alato e silenzioso.
Nella tradizione slava la Morte era una bellissima donna vestita di bianco con in mano un ramoscello di sempreverde, il cui tocco significava morte. Anche nel folklore polacco Smierc, la Morte, era un essere femminile vestito di una tunica bianca. In quello lituano era chiamata Gilitiné, ovvero “colei che punge”, rappresentata come una vecchia vestita di blu e dotata di una lingua velenosa e mortifera.


In Danimaraca le leggende parlavano dell'helest, il cavallo infernale o di Hel (dea degli Inferi nel folklore norreno): un destriero dotato di sole tre zampe la cui comparsa, di notte presso i cimiteri, preannunciava sventura e morte. In un'altra versione del mito, l'helhest era uno spettro con il compito di guidare i morti nell'oltretomba. Per questa ragione, prima dei defunti, nei cimiteri veniva sepolto vivo un cavallo, in modo che potesse trasformarsi nel cavallo della morte e fare da guida alle anime dei trapassati, le quali altrimenti avrebbero vagato senza riposo.
In Irlanda si credeva nei dullahan: erano inquietanti creature con la testa staccata dal corpo, che nascondevano sotto il braccio e si diceva avesse grandi occhi e un sorriso lungo fino alle orecchie. Il dullahan cavalcava un cavallo nero senza testa o una carrozza trainata da cavalli neri e si fermava davanti alla casa di chi stava per morire: lo chiamava per nome, e quello subito moriva. Non gli piaceva essere guardato, e si credeva che se un dullahan si accorgeva di qualcuno che lo stesse osservando, lo avrebbe colpito con un frusta ricavata da una colonna vertebrale o gli avrebbe lanciato contro del sangue, un segno che la persona era prossima a morire.
Il folklore bretone parlava dell’ankou, lo spirito dell'ultima persona morta nella comunità, che per questa ragione si assumeva il compito di raccogliere le anime dei defunti, chiamandoli per nome. Appariva come una figura alta e sparuta, portava un ampio cappello e aveva lunghi capelli bianchi; in alcune versioni era invece visto come uno scheletro con una testa girevole che vedeva tutti, ovunque. Guidava un carro con un asse scricchiolante, colmo di cadaveri, e una sosta su di esso comportava la morte istantanea per coloro che vi salivano. L'ankou sostava davanti alla casa di chi stava per morire e bussava alla sua porta, con un suono a volte udibile anche dai viventi. In alcune versioni entrava nelle case accompagnato da due spettrali servitori per prendere chi stava per morire e metterlo sul suo carro.
Queste credenze hanno alcune similitudini con la leggenda scandinava del Körkarlen, secondo cui le anime dei defunti sono raccolte per conto della Morte da un carrettiere fantasma, il quale può cedere il suo compito all'anima di chi muore in peccato mortale allo scoccare della mezzanotte dell'ultimo giorno dell'anno.

Folklore Asiatico
Nell’induismo Yama era la divinità a cui spettava il compito di controllare il trapasso delle anime. Era figlio di Surya (dio del sole) e di Saranyu (dea delle nuvole) e veniva anche chiamato Dharma, cioè Giustizia, perché aveva inoltre il compito di giudicare la destinazione dell’anima, ma anche Kala, cioè Tempo, in quanto era lui a decretare la durata della vita. Era raffigurato come un uomo vestito di rosso a cavallo di un bufalo nero, con occhi di fuoco e pelle verde. Nel Buddhismo Yama è invece rappresentato come un essere irato, dalla pelle nero-blu, vestito di pelli di animali e adornato di teschi e ossa. 
Nella mitologia giapponese la Morte è Enma, che comanda gli Yomi (Inferi) e decide se i trapassati debbano andare in paradiso o all’inferno. Ma giungere al suo cospetto non è facile: bisogna superare le varie prove della vita, altrimenti l’anima è costretta a vagare senza meta sulla terra. Un culto più recente è invece quello degli shinigami, gli dei della morte. In Cina ci sono figure simili chiamate somujo o koshinin.
Lo hyakki yagyō, la parata notturna dei cento demoni, è una credenza giapponese secondo cui ogni anno, gli yōkai (spiriti) prendano d'assalto le strade durante le notti d'estate. Quelli che passano vicino a questa processione muoiono, a meno di essere protetti da un sutra (preghiera su carta). Questa credenza ha qualche rassomiglianza col mito nord-europeo della caccia selvaggia: un corteo notturno di esseri sovrannaturali che attraversa il cielo o il terreno intento in una furiosa battuta di caccia. Questa tradizione ha ispirato il gioco dello hyakumonogatari kaidankai, dove i partecipanti accendono cento candele e si raccontano cento storie di spettri, spegnendole una a una al termine di ogni storia e attendendo coraggiosamente l'apparizione di Aoandon, uno yokai.

Tradizione Giudaico-Cristiana
Nell’Antico Testamento il nome della Morte è Azrael ed è l’Angelo del Signore, chiamato dal profeta Giobbe anche Angelo Sterminatore, dopo la morte dei primogeniti durante l’Esodo. Giobbe parlava anche del mĕmītǐm, un angelo associato con la mediazione oltre la vita dei morenti, ma è difficile stabilire se si tratti di un’altra figura o dello stesso Azrael. Esso è anche la personificazione della Morte nella religione islamica, dove è uno dei quattro principali arcangeli.
L’Angelo venne creato da Dio il primo giorno e abitava nei cieli. Veniva rappresentato come un essere ricoperto in tutto il corpo di occhi e dotato di dodici ali, armato di una spada da cui sgocciolava fiele. In alcune raffigurazioni è anche rappresentato con un coltello o un laccio, a rappresentare i diversi tipi di morte rituale. Possedeva un mantello nero che gli permetteva di trasformarsi in ciò che desiderava, di solito assumeva l’aspetto di un mendicante o uno studioso. Quando un uomo era prossimo alla morte, l’Angelo gli faceva cadere una goccia di fiele in bocca: da questa credenza nasce l’espressione “avere il gusto della morte”. In altre rappresentazioni viene descritto come un essere con quattro facce e quattrocento ali, il cui intero corpo consiste in occhi e lingue, in un numero corrispondente a quello degli abitanti della terra. Sarà l'ultimo a morire e porta con sé un grande libro in cui registra e cancella costantemente i nomi degli uomini, rispettivamente alla loro nascita e alla loro morte.
Secondo la tradizione giudaica, esistono sei angeli della morte, ognuno con un diverso compito: Gabriele (per le anime dei re), Kapziel (per le anime dei giovani), Mashbir (per le anime degli animali), Mashhit (per le anime dei bambini), Af e Hemah (sia per uomini che per bestie). Nella tradizione cristiana sono invece due: Michele, quello buono, e Samaele, quello malvagio.
Nel Nuovo Testamento, la Morte è indicata come uno dei Quattro Cavalieri dell’Apocalisse. Essi appariranno alla fine dei tempi all’apertura dei primi quattro dei Sette Sigilli, i quali proteggono una pergamena che Dio tiene nella mano destra. Essi giungono come portatori di una punizione divina in vista della battaglia finale tra il Bene e il Male (Armageddon) e il Giudizio Universale. Il primo di essi sarebbe giunto armato di arco su di un cavallo bianco, ed è tradizionalmente noto come Conquista; il secondo sarebbe giunto armato di spada su di un cavallo rosso, ed è tradizionalmente noto come Guerra; il terzo sarebbe giunto con in mano una bilancia su di un cavallo nero, ed è tradizionalmente noto come Carestia; infine il quarto, l’unico chiamato per nome, ovvero Morte (noto anche come “il cavaliere pallido”), sarebbe giunto su di un cavallo di colore verde pallido. A differenza degli altri, Morte non reca niente con sé, ma iconograficamente gli viene spesso attribuita una spada o più spesso una falce.


L’iconografia popolare moderna rappresenta la Morte Personificata come uno scheletro, alcune volte anche alato, vestito di un saio o una tunica o un mantello nero con cappuccio, che brandisce una falce, che simboleggia la vita che viene raccolta come le messi. Per questo è nota popolarmente coi nomi di Tristo Mietitore o ancora di Sinistro o Cupo Mietitore.

Per oggi è tutto, spaventose creature. L’appuntamento è a fra tre giorni per la seconda parte dell’articolo. Sempre, si intende, se avrete l’ardire di leggerlo...

19 commenti:

  1. Un buon riassunto, utile a rinfrescare ma anche ampliare il proprio orizzonte. Le versioni bretone e irlandese (tostissima questa!) non le conoscevo, a differenza di quelle scandinave e classiche con le quali mi sono spesso cimentato.

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    1. C'è un corpus mitologico pazzesco in quelle regioni dell'Europa nordica, di cui i più sanno pochissimo.

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  2. Non vorrei mai essere quello che muore allo scoccare della mezzanotte... per essere poi costretto a fare il carettiere per tutto l'anno successivo.
    C'era un vecchio film su quella leggenda... immagino tu lo conosca.

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    1. Sì, ho capito a quale ti riferisci. Correggimi se sbaglio: è tratto dal racconto di una scrittrice premio Nobel per la letteratura?

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  3. "Nella tradizione cristiana sono invece due: Michele, quello buono, e Samaele, quello buono"
    Forse mi sono perso qualcosa....

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    1. Ops! Un refuso. Samaele è quello malvagio.
      Ma c'è di più in realtà: Sammael in ebraico vuol dire "veleno di Dio". E' uno dei nomi del Diavolo, e spesso Samaele viene identificato col Diavolo stesso...

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  4. Aspetto la seconda parte di questo riassunto.
    Saluti a presto.

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    1. Io non parlerei di riassunto, però. Dietro c'è molto lavoro di ricerca. Beh, e poi ci sono le altre parti.

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  5. So che il tuo approccio è molto più incentrato sul mito e sulla leggenda, però è molto interessante anche vedere come queste leggende abbiano influito sulla cultura pop, per fare un esempio: la Morte nell'universo Marvel è una donna bellissima che solo Thanos può vedere, un po' come la tradizione slava, ma che all'occorrenza diventa l'iconica tunica con falce e teschio!
    Un'analisi perfetta come sempre!

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    1. In realtà il mio approccio in questa rubrica parte sempre da miti e leggende, per poi provare a darne una spiegazione scientifica e a volte sociopsicologica.

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  6. Non vedo l'ora di leggere la seconda parte!

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  7. Arrivo a ridosso della seconda parte! Molto bello il post, un vero e proprio tour della Morte :O

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  8. Lo psicopompo viene citato come un uccello nel libro La Metà Oscura di King.
    La stessa Death del Sandman di Neil Gaiman, accompagna le anime dei defunti con un battito d'ali.
    Ottimo articolo, corro a leggere il secondo.

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    1. Sì, i passeri, già nell'antica Grecia, erano considerati degli psicopompi. Ma anche i corvi. Il cavallo (come scritto sopra) lo è nella mitologia danese. Dipende un po' dalla popolazione.

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  9. Che meraviglia e quanta ricerca!
    Se ti può essere utile, aggiungo che nel Buddismo esiste anche un’altra figura che ricopre un ruolo assai importante in questa sede. Si tratta di Mara, il Deva della tentazione, che oltre a piazzarti dinanzi una serie di terribili ostacoli, rappresenta la Morte Spirituale.
    Del resto, Mara prende anche il nome di Hajun che, in sanscrito, significa Morte.
    Poi c’è Mrtyumara che rappresenta la Distruzione e la Morte che derivano necessariamente dalla nascita. È la morte che ci fa rinascere nell'impermanenza dell'esistenza ciclica.
    In pratica, Mara (è sempre lui, qualunque nome assuma) personifica la Morte ma anche l'Illusione e talvolta viene identificato con Kama, il dio dell'amore sensuale.

    Ciao! *__*

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    1. Mara era presente nella prima stesura del post, poi ho dovuto tagliare perché veniva davvero lunghissimo!
      Ciao e grazie del commento (molto più approfondito di quanto conoscessi)! :)

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