mercoledì 1 maggio 2019

La Scomparsa di Stephanie Mailer: Come non Scrivere un Romanzo

Raramente mi è capitato in questo blog di fare della critica letteraria o cinematografica. Uno dei motivi è che ritengo complicato parlare di un libro o un film che i lettori del blog magari non conoscono. Questa volta però mi è sembrato interessante il discorso che poteva venire fuori da un’analisi dei romanzi di Joël Dicker.
Negli ultimi anni ho letto diversi gialli scritti da autori stranieri, i quali hanno avuto un buon successo sia di critica che di vendite: oltre a Dicker, ho letto Gli Occhi Neri di Susan di Julia Heaberlin (titolo mal tradotto in italiano) e L’Uomo di Gesso di J.C. Tudor. Per quanto siano stati delle piacevoli letture, questi romanzi hanno tutti lo stesso difetto: una prosa molto semplice, terra-terra, facilmente leggevole, ma mai esaltante, che ti lascia un po' con la sensazione che manchi qualcosa.
Ho iniziato a leggere Dicker con La Verità sul Caso Harry Quebert. È un ottimo giallo, ben costruito e ben pensato nella struttura. La prosa ha un po' il difetto di cui sopra, ma la trama ti tira dentro, non ti annoi e alla fine lo divori. Bisogna anche dire che a tratti è un qualcosa di già visto (i riferimenti a Twin Peaks si sprecano) e tende a essere un po’ paraculo, strizzando l’occhio al lettore… Ma in fondo è perdonabile, perché il prodotto finale resta ottimo.
Poi ho provato a leggere Gli Ultimi Giorni dei Nostri Padri, il suo romanzo di esordio. Devo confessare di averlo mollato a meno di un quarto, perché mi stavo annoiando. Il romanzo storico (questo è ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale) non è proprio il mio genere, per quanto ben scritto possa essere.
Quindi ho letto il seguito dell’Harry Quebert, ovvero Il Libro dei Baltimore. E qui sono stato fregato, perché pensavo di trovare un altro giallo, invece mi sono sorbito 600 pagine di un lagnosissimo e irritante pseudo-dramma sentimentale. Nel passato della famiglia del protagonista è avvenuta una tragedia, di cui il lettore è consapevole fin dalle prime pagine; cosa sia successo verrà però rivelato solo alla conclusione del libro, dopo 600 esasperanti pagine, nel corso delle quali allo sventurato lettore, ormai rassegnato al proprio destino, viene di continuo ricordato l'incombere della tragedia imminente. Più avanti ci torneremo sul modo che ha questo autore di trattare il lettore.
L’ultimo romanzo di Dicker è La Scomparsa di Stephanie Mailer. Questo invece è un giallo, e devo dire che anche qui la storia ti prende molto. Ma i difetti sono tanti.
Per cominciare, c’è il problema della prosa: al quarto romanzo mi aspetto qualcosa di più da un autore. Alcuni passaggi, in particolare i dialoghi, sono decisamente ingenui. Di sicuro è difficile, se non persino impossibile, trasporre su carta il modo in cui parliamo davvero; sta però all’abilità dell’autore renderlo realistico e non costruito. 
Dicker commette inoltre una serie di piccole ingenuità lungo la trama, cose che potresti aspettarti da un esordiente, non da un autore già affermato. Per esempio: i cadaveri non sanguinano (per via di fenomeni quali la coagulazione post-mortem e l'ipostasi): perciò se un personaggio sposta il corpo di una donna che ha ucciso con un colpo in testa alcune ore prima, non può macchiarsi così tanto la camicia di sangue. Anche perché una lesione da corpo contundente in zona cranica non giustifica una tale fuoriuscite di sangue. 
Ma il difetto principale è la scelta della macrostruttura narrativa che Dicker ha utilizzato, ovvero il romanzo corale.
A differenza di un semplice romanzo, che vede un solo personaggio principale e dei comprimari, nel romanzo corale ci sono più personaggi principali, ognuno dei quali vive la vicenda parallelamente agli altri, in maniera indipendente o in concerto con loro; possono essere collegati o meno, persino non incontrarsi mai. Questo permette di vedere l'universo  narrativo da più angolazioni, giocando sui differenti punti di vista. Si tratta però di una tecnica narrativa parecchio difficile, che richiede grande capacità di scrittura. Philip K. Dick la utilizzava spesso con profitto; La Svastica sul Sole ne è un esempio.
Finché Dicker si limita a gestire i personaggi principali (Jesse, Derek e Anna, i poliziotti che svolgono l’indagine), funziona abbastanza; ma quando mette in campo altri personaggi, emergono i limiti. In particolare per aver deciso di utilizzare un modo narrativo alquanto ondivago: alterna infatti capitoli narrati in prima persona da uno dei personaggi, ad altri in cui la vicenda è raccontata in terza persona. Il lettore ne risulta ovviamente confuso. Inoltre nei capitoli in terza persona sono inseriti di continuo degli stacchi molto brevi (anche solo di una pagina) su eventi avvenuti una ventina d'anni prima (un po' come se fossero dei flash-back in un film), cosa che in un romanzo non funziona molto, perché crea ripetitivamente delle discontinuità.
In un romanzo corale i personaggi devono essere caratterizzati particolarmente bene. Prendete It di Stephen King, che da un certo punto di vista ha qualcosa del romanzo corale. King è bravissimo nel costruire i personaggi e farli agire, e anche negli stacchi sa gestirli senza fare annoiare o confondere.


Nel romanzo di Dicker i tre personaggi principali sono abbastanza ben realizzati. Jesse ha vissuto una tragedia, di cui il lettore, come ne Il Libro dei Baltimore, è consapevole fin dall’inizio; ma anche qui per sapere cosa sia successo si deve aspettare diverse centinaia di pagine. Questo crea un senso di frustrazione, dovuto al continuo far presente la vicenda senza però spiegarne nulla; essendo poi legata all’indagine, Dicker è costretto a fare dei salti mortali per poterla tirare fuori al momento giusto: solo che è poco credibile che elementi correlati a un'indagine in corso vengano taciuti a convenienza della trama e che le persone coinvolte evitino di farvi riferimento perché così vuole il testo. Il personaggio di Derek invece è quasi sullo sfondo, è realizzato meno bene, tanto da risultare un’appendice narrativa di Jesse, a tratti sembra quasi un riempitivo. Anna è il personaggio più riuscito, il lettore riesce a empatizzare con lei e la sua vicenda; anche lei ha vissuto un dramma, rivelato nei dettagli dopo centinaia di pagine, anche se almeno in partenza era stato un po' accennato. 
Il vero problema sono i personaggi secondari, su cui Dicker non ha fatto un buon lavoro, e trattandosi di un romanzo corale la cosa si sente parecchio. Questi sono stereotipati al massimo: c’è il redattore con la crisi di mezza età che ha una storia extraconiugale con la sua segretaria; questa è una giovane arrivista che crede di essere una grande scrittrice, ma ha scritto un romanzo pessimo; c’è il critico letterario, ovviamente autocelebrativo e stronzissimo, che demolisce romanzi pur non avendoli letti; c'è il poliziotto macho e pure stronzo, infastidito dal fatto che ci siano donne in polizia; c’è la ragazzina ricca che abusa di sostanze perché ha vissuto una tragedia che l’ha segnata, anche qui annunciata all’introduzione del personaggio e rivelata dopo centinaia di pagine. E poi all'improvviso e senza un perché, alcuni di questi personaggi cambiano del tutto personalità e agiscono in tutt'altro modo.
Per concludere questa recensione, se foste rimasti incuriositi da questo romanzo e voleste leggerlo, vi posso dire che a me come storia è piaciuto e si è lasciato leggere volentieri, ma come costruzione e stile lascia parecchio a desiderare.

13 commenti:

  1. In genere sono poco attratta dai romanzi contemporanei perché ho sempre più l'mpressione che gli autori scrivano come se stessero scrivendo per delle serie tv. Mi pare di vedere sempre determinati schemi, determinati modi di creare la suspense. La storia tirata per le lunghe solo per creare un'aspettativa ma senza davvero scavare a fondo nei personaggi e nelle situazioni.
    Un romanzo corale potrebbe essere molto interessante, se fatto bene. E' un buon modo per delineare davvero un mondo.
    D'altronde anche una soap opera è una cosa corale, ma non si può dire che sia un capolavoro né che riesca a descrivere realisticamente un mondo.
    UUn libro che a me è sempre piaciuto moltissimo è Pomodoveri verdi fritti alla fermata del treno. Non so se si possa dire che è corale, però ci sono molti personaggi, di alcuni si parla solo per poche pagine, ma tutto quanto è veramente scritto bene e ti dà davvero l'idea di come era negli stati USA del sud negli anni '30 e '40.
    Da una parte avrei la curiosità di leggere il libro di cui hai parlato, ma ho come l'impressione che ne verrei delusa.

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    1. Diciamo che ti dà la sensazione di qualcosa di realizzato non troppo bene, pur essendo comunque un buon giallo. Per cui sì, potresti trovarci molto diludendo. Secondo me Dicker è un po' sopravvalutato da critica e vendite.

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  2. Sono molto scettico su molti scrittori contemporanei. La sensazione che siano costruiti a tavolino - seguendo determinate mode - non me la toglie nessuno, ma purtroppo anche l'editoria non è immune da mercati che privilegiano il "soldo" subito, al valore e alla qualità. Quello dei libri è un discorso che si potrebbe allargare al cinema, alla musica e anche all'arte contemporanea. Noi prendiamo quello che c'è imposto, purtroppo.

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    1. Io non così tanto, però c'è sicuramente da separare il grano dalla pula. Diciamo che c'è poca meritocrazia. Mi secca vedere personaggi televisivi che scrivono libri per grosse case editrici; mi dà fastidio perché per la maggior parte sono profondi come una pozzanghera, quindi posso immagino le banalità che abbiano scritto.
      L'altro giorno ero in biblioteca a Moncalieri e ho visto tra le novità il libro di Francesco Mandelli (quello dei Soliti Idioti) e nel cestello per il "mese della poesia" il libro di Francesco Sole. Mi ha fatto venire voglia di restituire la tessera della biblioteca, perché un tale pattume non è scusabile.

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    2. Ti capisco, ma molta gente è quello che recepisce. Io quando vedo la condivisione e l'esaltazione dei post di Sole sui social sto male, per quello dico che prendiamo ciò che è imposto (naturalmente io - come te - mi sottraggo a questa regola)

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    3. Io ci sto male due volte perché una biblioteca acquista pattume e non un mio libro, che magari non è un capolavoro, ma è scritto da uno che ci mette passione, e non sfrutta una popolarità pregressa in un altro campo.

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  3. Ho sentito parlare di lui (dal suo giallo più celebre hanno tratto addirittura un serie tv) ma non mi attira. Non sono un lettore di gialli...

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    1. Alla fine non ti perdi nulla. Il primo è bello, ma paraculo, l'ultimo si legge bene, ma è scritto male. Di recente mi diverto di più coi gialli italiani della Sellerio, che almeno sanno essere originali.

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  4. Già il genere non è propriamente il mio, figurati se dopo quello che hai detto posso esserne incuriosito! XD
    Insomma, io davvero non capisco come si faccia a compiere leggerezze tipo la questione del sangue.
    Significa che proprio non ti documenti, prima di scrivere: imperdonabile, no?
    Poi personaggi che cambiano caratterizzazione... mah.

    Moz-

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    1. La mia impressione è che Dicker sia molto sopravvalutato... è stato abbastanza un dilundendo.
      La questione del sangue sono quelle piccole ingenuità che però fanno la differenza.
      Intendiamoci: anche autori navigati ne fanno. In uno degli ultimi libri di Stephen King c'era un passaggio in cui parlava dell'odore del metano. Che però è un composto inodore.

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    2. Ahaha, ma infatti King ha smesso di piacermi da secoli XD

      Moz-

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  5. Io mi sono sempre rifiutata, invece, di leggere "La Verità sul Caso Harry Quebert" perché un paio di amiche lettrici forti me lo avevano stroncato anche come storia gialla. Di conseguenza sono stata fortunata e non ho letto gli altri romanzi di questo scrittore. Ho sempre avuto l'impressione di un autore molto pompato a livello promozionale. Potrei citarti altri casi, come quello di Clara Sanchez, di cui ho letto l'insopportabile "Il profumo delle foglie di limone" e che ha venduto milioni di copie.

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    1. Mi trovi d'accordo. Ti posso dire che a me l'Harry Quebert è piaciuto parecchio, sempre sorvolando sul suo essere un po' paraculo.

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