“Vedo gli scienziati come attori in una tragedia classica. Essi (noi) sono condannati dalla loro natura a creare. Non esiste la maniera di evitare di indagare su ciò che è in noi o attorno a noi. Non possiamo chiudere gli occhi davanti alla creazione o alla scoperta. Se tu non sintetizzi quella molecola, lo farà qualcun altro. Allo stesso tempo credo che gli scienziati hanno la grandissima responsabilità di riflettere sugli usi della loro creazione, persino sugli abusi che altri possono fare. E devono fare tutto ciò che è loro possibile per rendere pubblici sia i pericoli che gli abusi. Se non lo faccio io, chi lo farà? Anche a rischio di perdere il lavoro, di venir umiliati, essi devono vivere con le conseguenze delle proprie azioni. E questo ne fa attori tragici, non eroi comici né li pone su un piedistallo. Ed è questa responsabilità verso l’umanità che li rende umani.” (Roald Hoffmann)
Roald Hoffmann, premio Nobel per la Chimica, è autore di alcune opere teatrali, tra cui Se si Può, si Deve? Il dramma si apre col suicidio di Friedrich Wertheim, chimico che si incolpava per aver ideato un processo di sintesi con cui ottenere facilmente una neurotossina che, in mano a dei terroristi, è stata utilizzata per compiere un attentato.
Le circostanze e le ragioni delle sua morte sconvolgono le vite di tre persone a lui legate: Julia, la sua seconda moglie, sua figlia Katie, e Stefan, il fidanzato di Katie.
Katie, una biologa, riesce a ottenere del materiale biologico perfettamente conservato che contiene tracce dell’esposizione a un tipo di influenza virale che, in passato, ha ucciso 40 milioni di persone. La giovane scienziata è eccitata dalla scoperta, mentre Stefan è preoccupato che i suoi esperimenti possano risvegliare il virus, anche se lei lo rassicura del contrario.
Però, mediante le tecniche della biotecnologia, Katie potrebbe trasferire il DNA virale in un batterio per riavere le proteine virali, e quindi farlo rivivere. Stefan non comprende quali motivazioni possano esserci nel lavorare con qualcosa che è stato un flagello per l’umanità, e lei gli spiega che un tale studio ha invece grande importanza: per esempio per capire perché quel virus è in grado di superare le difese cellulari mentre altri non ci riescono; può dare una maggiore comprensione dell’azione dei virus e quindi gli strumenti per fronteggiarli. È uno dei tanti tasselli di un enorme puzzle che ci permette di capire il mondo che ci circonda e di arrivare preparati alle sfide del domani. Sono i semi di una pianta che può impiegare molto tempo a mettere frutto.
E se qualcuno lo utilizzasse per scopi sbagliati? Gli scienziati sono moralmente responsabili per il cattivo uso che viene fatto delle loro scoperte? Le cose in sé non sono né buone né cattive: buono o cattivo è l’uso che ne facciamo. L'utilizzo della conoscenza richiede infatti saggezza, perciò gli scienziati non sono esenti dalle responsabilità derivanti dal loro lavoro; devono sempre tenerlo a mente, e preoccuparsi di far sì che le conseguenze del cattivo uso delle loro scoperte siano conosciute e soprattutto evitate. Il loro ruolo, dopo quello di scopritori, è di divulgatori e custodi del sapere.
Nel dramma viene citata la storia di Fritz Haber, scienziato ebreo di nazionalità tedesca, premio Nobel per la Chimica per la sintesi dell’ammoniaca dai suoi elementi. Ma uno scienziato che ottiene una conquista può essere anche lo stesso che realizza qualcosa di terribile: durante la Prima Guerra Mondiale fu lui a convincere lo Stato Maggiore dell’esercito tedesco a usare dei gas tossici contro il nemico. Finita la guerra, Haber si dedicò alla produzione di fertilizzanti, con cui produrre più cibo per sfamare le persone. E anche di acido cianidrico, che veninva usato come antiparassitario, la cui preparazione commerciale andava sotto il nome di Zyklon B: lo stesso che una quindicina d’anni dopo sarebbe stato usato nei campi di sterminio contro la sua stessa gente. Promulgate le leggi razziali, Haber cadde in disgrazia e dovette emigrare. Morì nel 1934, prima di vedere gli orrori derivanti dal cattivo uso delle sue scoperte.
Un altro tema dell’opera è quello della bellezza insita nella scienza. Katie mostra a Stefan la rappresentazione di una nucleoproteina; attraverso lei viene descritta in maniera poetica l’interazione tra proteina e DNA, mediante le "dita di zinco". L’atomo di zinco tiene fermo un tratto di proteina, lo espone perché venga riconosciuto dal DNA; questi riconoscimenti sono estremamente specifici, sono dovuti a incastri che si vanno a creare tra molecole diverse, e che solo se perfetti funzionano; una volta che queste controparti si sono riconosciute a vicenda, allora inizia il processo biologico, che è alla base della vita. Ed è incredibile pensare al modo con cui le molecole sono in grado di riconoscersi, sfiorandosi, esattamente come noi siamo in grado di riconoscere la persona amata anche solo da una sua carezza.
La bellezza della scienza sta nel capire come funziona il mondo, l’universo, la vita, noi stessi, e scoprire quale meccanismo straordinario esso sia, con alla base solo poche minuscole entità fondamentali, che si associano e si organizzano e interagiscono nei modi più diversi e stupefacenti, mai per caso. Nuclei, atomi, molecole, macromolecole... e poi cellule, tessuti, organismi... via via sempre più su, stelle e pianeti, galassie e un intero universo... Grazie alla scienza abbiamo nelle nostre mani gli strumenti per comprendere questa meravigliosa complessità, dal nucleo di un atomo fino all’intero universo, e allora non possiamo non stupirci di fronte all’incredibile variabilità di aspetti che quelle entità fondamentali sono in grado di realizzare. E proprio per questo siamo in grado di vederne la loro bellezza.
La scienza e le sue implicazioni morali sono un tema interessante. Non so se questo testo teatrale sia valido sul piano letterario, sicuramente lo spunto è un ottimo punto di partenza.
RispondiEliminaSul piano letterario temo di non poterti rispondere, avendone letto solo alcuni passaggi (per esempio quello delle dita di zinco). Peraltro il dramma è uscito proprio nell'anno in cui all'università avevamo trattato del lavoro che a Hoffmann è valso il premio Nobel.
EliminaUn’opera teatrale davvero interessante! Inoltre è vero, la scienza è una grande cosa, però bisogna stare attenti perché gli uomini hanno il brutto vizio di far diventare perversione anche la scienza. Ogni cosa ha in se il potenziale per essere buona o cattiva, è la scelta dell’uomo a determinare quale natura far prevalere.
RispondiEliminaSi potrebbe fare la medesima considerazione anche su altre cose, per esempio la religione. Quindi, a parer mio, la risposta alla domanda data dal titolo del dramma è "sì, a patto che sia fatto a fin di bene."
EliminaPurtroppo il termine scienza è sulla bocca di tutti, ormai, di persone legittimate a parlarne con cognizione e persone per le quali va semplicemente di moda.
RispondiEliminaMarina
Per questo è bene affidarsi a persone competenti e non a chi ci gioca sapendone poco o nulla. Questo è un ambito in cui non ci sono opinioni, ma fatti, e persone che ne sanno; gli altri sono cialtroni.
EliminaCerto che la storia di Fritz Haber è parecchio emblematica. Credo che le scoperte scientifiche siano importantissime, ma occorre stabilire un’etica precisa sui limiti da non valicare, come può essere il divieto delle armi chimiche in guerra (ma poi viene fatto lo stesso a discapito delle popolazioni che le subiscono).
RispondiEliminaAi tempi di Haber c'era già il divieto di utilizzo di armi chimiche, in seguito ratificato col protocollo di Ginevra. Durante la grande guerra sul fronte orientale i russi, guidati dal chimico Zelinskij, avevano adottato le prime maschere antigas; sul fronte occidentale i francesi, guidati dal chimico Grignard, avevano risposto col fosgene, che era altrettanto spaventoso.
EliminaIn un periodo storico come questo in cui la scienza è vista con diffidenza e la gente cerca ripari più semplici come la superstizione, gli stregoni, la fede ecc. (scusa il pleonasmo) credo sia importante cercare di tutelare - se non le persone - il concetto di ricerca scientifica!
RispondiEliminaLe motivazioni per cui la scienza e la tecnologia, ma anche il sapere in generale, e persino la conoscenza e la competenza, sono viste come cose di cui diffidare e addirittura temere, sono numerose e complesse, alcune stratificate da parecchi decenni. Viene chiamata "sindrome di Frankenstein" (dizione ideata da Isaac Asimov). C'è da aggiungere che in questo momento storico la rete e i social hanno portato a un sapere fai-da-te, alla effetto Dunning-Kruger, in cui l'opinione è più importante dei fatti e tutti valgono allo stesso modo su ogni ambito di competenza. Penso che sia anche per l'infodemia imperante che poi molti si rivolgono ad altro.
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