lunedì 14 maggio 2018

Quando il Lettore Non Capisce lo Scrittore

Quando uno scrittore realizza un nuovo racconto si pone anche tutta una serie di domande. L’idea è buona? La sto realizzando bene? Sto scrivendo bene? Piacerà il mio racconto? Domande che che invece ritengo ci si ponga meno di frequente sono: "Ma i lettori capiranno di cosa sto parlando? Arriveranno a comprenderne il significato?"


Non è tanto per una questione di superbia, quanto piuttosto che spesso non ci si pone nemmeno il problema. Come insegnante, vi posso assicurare che a ogni lezione io mi faccio ogni volta queste stesse identiche domande, ma ovviamente sono le ultime due quelle a cui do maggior peso. Con la scrittura, temo invece di dare per scontato che il lettore sia in grado di capire di cosa sto parlando e il significato che intendo dare. Cosa che invece è tutt’altro che scontata.
Come capita a ogni scrittore ai suoi inizi, anch’io ho cercato di farmi un po’ conoscere in svariati modi. Tra le varie cose, quando anni fa è uscito il mio primo libro, ho selezionato alcuni racconti e ne ho fatto un mini-ebook che ho caricato su di un sito, dove lo si poteva leggere gratuitamente e lasciare dei commenti. La maggior parte degli utenti che frequentava quel sito erano a loro volta persone che scrivevano e avevano anche loro caricato degli e-book. Uno di questi miei racconti era Eredità, lungo in tutto tre pagine. Qui di seguito ne riporto un breve riassunto.

“Una catastrofe sta per distruggere la Terra. Non essendoci più speranze, lo scienziato Joe Ellis si prepara ad abbandonare il pianeta assieme alla sua famiglia. Purtroppo l’apocalisse è più vicina di quanto pensasse e l’astronave che ha costruito è troppo piccola: perciò decide di usarla per salvare solo suo figlio Carl. La destinazione scelta è Nandor, un pianeta simile alla Terra, così come i suoi abitanti sono simili ai terrestri. Carl avrebbe vissuto fra i nandoriani, ma non sarebbe stato uno di loro: le minori dimensioni del pianeta e il suo sole bianco gli avrebbero dato una forza e una resistenza senza pari, sarebbe stato come un dio in mezzo a loro. Raccomandandosi di fare la differenza, Joe invia suo figlio su quel pianeta, mentre la Terra sta collassando. Il piccolo sopravvive al viaggio e viene trovato da una coppia senza figli, i K’nt, che lo crescono come se fosse loro figlio. E grazie agli straordinari poteri di cui è dotato, da grande Carl K’nt diviene il più spietato dittatore della storia nandoriana. Così l’eredità della Terra è stata trasmessa.”

Credo che chiunque di voi abbia riconosciuto in questo racconto una sardonica parodia di Superman. Direi che è ovvio, anche per chi non abbia visto il film con Christopher Reeve o non abbia letto i fumetti, perché il personaggio di è talmente noto nell'immaginario collettivo da non poter dare adito a fraintendimenti.
Io la pensavo così e invece mi sono dovuto ricredere.
Una degli utenti di quel sito mi lasciò infatti un commento dove, pur apprezzando il mio modo di scrivere, si diceva perplessa per il finale così “sbrigativo” del mio racconto; avrebbe trovato migliore che raccontassi qualcosa di più del piccolo Carl e della sua vita sul nuovo pianeta.
Ecco, che cosa puoi rispondere a qualcuno che non ha capito nulla del significato di quanto hai scritto? Ma soprattutto che, oltre a non riconoscere i riferimenti di cultura popolare su cui si basa, non è nemmeno in grado di coglierne la vena satirica e lo prende alla lettera?
In quella situazione sono stato estremamente didascalico: le ho spiegato per filo e per segno il senso parodistico e il significato ironico del mio racconto, spiegandole che l’intento era di far riflettere sul nostro modo di comportarci. Ricordate la massima “da un grande potere derivano grandi responsabilità”? Ebbene, quanti di noi avendo a disposizione poteri straordinari come quelli di Superman li userebbero per il bene comune? La tentazione di essere egoisti è forte, perché siamo umani. E guardate che non è mica un problema accademico: i poteri di un supereroe sono solo una metafora, perché viviamo in un mondo dove ci sono persone che hanno potere sulla vita e il destino di altre persone, e spesso di questo potere viene fatto un cattivo uso.
La satira serve a far riflettere dopo che ci si è fatti una risata. Risata che però è, e resta sempre, amara.
A quel punto quell’utente sembrava finalmente aver compreso; e invece riuscì lo stesso a commentare: “Capito. Davvero un'importante riflessione.”
Alle volte quella risata diviene ancora più amara.

23 commenti:

  1. Il peggio è quando questo tipo di persone, a digiuno dei fondamentali della cultura popolare, occupano posti di rilievo. Una volta, molti anni fa, feci una traduzione dall'inglese all'italiano di un fumetto umoristico per una casa editrice ora scomparsa. Una delle battute prevedeva che uno dei personaggi si rivolgesse a un altro in tono razzistico chiamandolo Kunta Kinte, il protagonista di "Radici". A un certo punto mi accorsi, con mia sorpresa, che l'editor della mia traduzione aveva sostituito il nome di Kunta Kinte con quello di Uga Buga. Io le chiesi spiegazioni e lei mi rispose candidamente che non aveva nessuna idea di chi fosse Kunta Kinte ma che era certo qualcosa legato alla cultura anglosassone. Secondo lei, Uga Buga per un italiano sarebbe stato più comprensibile. Peccato però che tutto questo avvenisse dopo che la RAI aveva già mandato in onda tutto lo sceneggiato "Radici" e il nome di Kunta Kinte in Italia lo conoscessero ormai anche i sassi.

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    1. Già. Nel 2003 il mio insegnante di scuola guida, chissà perché, durante una guida mi chiamò Kunta Kinte. Poi dopo scoppiò a ridere e disse: "Vabbè, neanche sai chi è Kunta Kinte." Io invece risposi subito: "Quello di Radici." E lui: "Bravo!" Non se l'aspettava che lo sapessi. Inutile dire che quel tipo era un coglione.

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  2. In effetti per ogni storia bisognerebbe sempre lavorare su due livelli: una trama esteriore che anche una capra può capire, e significati più nascosti che magari non tutti capiranno.

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    1. Potrebbe essere un'impostazione interessante, in effetti.

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  3. Eh... il problema sai qual è? Che chiunque vuol dare la propria opinione, oggi anche e soprattutto scritta.
    Prima alcuni di questi pensieri erano limitati ai banconi dei bar.
    In ogni caso, immagino che anche commenti così facciano bene: permettono agli altri di capire ancora di più il valore del tuo lavoro^^

    Moz-

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    1. Mah, in effetti i commenti lì erano graditi. Però in quel caso mi hanno fatto capire che non puoi dare nulla per scontato. Comunque sì, il feedback aiuta a capire come viene recepito il proprio lavoro.

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  4. Bella domanda...
    Io posso dire soltanto che quando non mi piace qualcosa o non riesco a carpirla come vorrei, do la colpa solamente a me stesso, non certo all'autore.
    Semmai è un limite del lettore non dello scrittore.

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    1. In effetti in questo caso specifico non mi assumo colpe: la mancanza qui è del lettore, non certo mia, che non posso essere troppo didascalico o altrimenti il mio da racconto diventerebbe un saggio.
      Poi ci sono quegli autori volutamente criptici che nessuno riesce a comprendere a pieno. A volte però secondo me sono anche fuffa, nel senso che la loro potrebbe benissimo essere tutta una posa.

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  5. Mah! C’è poco da rispondere a chi non capisce il senso di ciò che scrivi. Che fai, riscrivi in chiave didascalica l’intero racconto/romanzo? No! Un conto è scrivere male qualcosa, in modo scorretto e un conto è il lettore che ha dei limiti. Nel primo caso, solo lo scrittore deve risponderne, nel secondo, solo il lettore. ^^

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    1. La cosa che mi ha stupito davvero è che non fosse stata riconosciuta come parodia di Superman e fosse stata presa alla lettera. Ma soprattutto: scrivere della vita del piccolo Carl sul nuovo pianeta fino al diventarne lo spietato dittatore? Non ti rendi conto dell'assurdità della cosa?

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  6. Viene da piangere al pensiero che gente così vota pure....

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    1. Potrei rispondere alla tua battuta dicendo che viste le ultime lezioni anche se gente così non votasse non sarebbe cambiato molto...
      Uscendo dalla battuta, credo ci sia un limite evidente in alcune persone nel comprendere un testo e in particolare i relativi sublivelli interpretativi.

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  7. Per chi scrive romanzi e racconti storici sono due domande fondamentali, ragion per cui bisogna trasmettere le informazioni all'interno della vicenda senza essere didascalici e noiosi.
    Certo che non arrivare a cogliere il riferimento a Superman... è tutto dire!

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    1. E' stata un cosa talmente sorprendente che in un primo momento non sapevo neanche cosa rispondere...

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  8. Secondo me stai facendo mischione fra capire e comprendere.
    Capire è l'atto mentale del recepire un concetto, lì se non sei un minus habens ci si arriva.
    Comprendere occorre qualcosa di più come l'empatia, il "mettersi nei panni di...", lo "sperimentare sulla propria pelle".
    Ecco, secondo me quando pensi al rapporto lettore-scrittore ti stai riferendo più alla comprensione.
    Io mi pongo parecchie domande, quando scrivo, anche cose tipo "arriva il concetto?", ma poi tanto so che quando il libro viene pubblicato e dato in pasto al mondo questo assumerà agli occhi dei lettori vari significati ed è giusto così.
    Dai, è come la storia di A-B-C in filosofia del linguaggio: io dico A, A viaggia come B e tu capisci che B è C.
    C'est la vie!

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    1. La tua è un'osservazione di una precisione meravigliosa!
      Sai però qual è il problema relativo a quanto mi stai facendo osservare? Che in italiano capire e comprendere sono utilizzati indifferentemente, sono sinonimi; invece tu hai perfettamente ragione nel distinguere tra i due: capire qualcosa non significa averlo compreso. Capire è prettamente sensoriale, mentre comprensione sta a un livello superiore, perché prevede una fase ulteriore di elaborazione dell'informazione a livello speculativo.
      Ti ringrazio moltissimo per la tua osservazione, il mio post aveva in effetti una sfumatura linguistica imprecisa!

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    2. Figurati, per me è stato stimolante intervenire e a dire il vero credevo avessi lasciato volutamente il "vuoto semantico", esattamente come l'esempio di Superman nel tuo racconto!
      Un abbraccio.

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  9. Una riflessione che, come hai sottolineato, è quasi d'obbligo per chi scrive. Dico tranquillamente che se si tratta di qualche cosa di inerente alla cultura di massa non mi pongo il problema nei confronti di coloro che possono non capire i riferimenti. Pazienza, insomma, non mi sento di snaturare uno scritto mettendo il "bugiardino" con le indicazioni e la freccia che guida verso una maggiore comprensione. Altro discorso è, questo mi preme maggiormente, riuscire a esprimere un concetto in modo chiaro. Sembra una sciocchezza, ma a me è capitato di scrivere due capitoli interi di un romanzo dando per scontato che fosse chiaro l'argomento che volevo mettere in risalto. Poi mia mogli mi fece notare che le pagine, pur se scritte bene, risultavano incomprensibili e fuori contesto. Mi spiego meglio, avevo scritto dissimulando la parte emotiva che mi spingeva, non risultava dallo scritto, per nulla. Praticamente quei due capitoli li avevo buttati giù come un qualcosa di mirato a persone che mi conoscevano bene e che non avevano bisogno di altro per comprendere. Può capitare anche questo, per fortuna, da soli o grazie a un aiuto esterno, si ritorna nei ranghi e si capisce che narrare è altro rispetto all'introspezione o all'esposizione mimica di un pensiero. Questo post mi ha stimolato a riflettere in questo senso.
    Poi, per il resto, non possiamo farci carico di chi proprio non capisce per motivi cognitivi, intellettuali o quant'altro. Fornire i mezzi per una maggiore comprensione, ecco, questo sì che è compito del narratore. Ovviamente se si desidera la più larga condivisione e il più vasto apprezzamento possibile. Ma può anche darsi che un autore desideri dar valore allo scritto criptico di per sé, ritenendo che il valore aggiunto derivi proprio da quella che potremmo definire affabulazione o dialettica pura, finalizzata non tanto alla prosa espositiva e lineare, ma al modo, allo stile, al ribaltamento concettuale della comunicazione che ha valore nell'azione dirompente e nel ritmo. Un po' come per i futuristi o ancor meglio i dadaisti, alla Tristan Tzara, insomma.

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    1. Il mio racconto giocava su una parodia di Superman, quindi se non ce l'hai presente, non si parte già benissimo. Ma al di là dell'artificio satirico scelto, è il messaggio che contava (e che diveniva più forte proprio nella contrapposizione tra il kriptoniano e il terrestre): è quello che andava colto e che non lo è stato. Doverlo quindi spiegare, è stato avvilente.
      L'esempio che viene dalla tua esperienza è lampante nel discorso che stavo facendo. Le due cose che uno scrittore si deve sempre chiedere sono:
      1) Cosa voglio comunicare?
      2) A chi lo voglio comunicare?
      Sul COME invece si gioca la scrittura. Nel senso che sono tutti bravi a esprimere idee e a individuare il pubblico a cui rivolgersi, mentre è una questione più complessa saper comunicare e saper comunicare bene.
      E in questo risiede il bello dello scrivere, cioè il modo scelto dallo scrittore: mai letterale (altrimenti sarebbe un saggio), ma nascosto all'interno dell'intreccio, magari sotto forma di metafora o, come nel mio caso, di parodia.

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  10. Vero, assolutamente vero e concordo. Ti propongo uno stralcio dell'articolo di presentazione del mio primo romanzo, che conferma la mia idea di comunicazione e di narrativa:

    ...Ho voluto raccontare di fatti dolorosi e devastanti usando l'escamotage del romanzo noir, non solo, ho anche decontestualizzato l'argomento proponendolo in uno scenario che non è quello abituale e ben conosciuto per il lettore italiano. Volutamente. Per citare Zavattini: "il tentativo non è quello di inventare una storia che somiglia alla realtà, ma di raccontare la realtà come se fosse una storia"...

    Ci siamo scelti una passione difficile da coltivare, caro mio. Ma noi siamo pazienti e perseveriamo. Vero o no?

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    1. Mi piace molto la frase di Zavattini che hai citato!
      Mi permetto una citazione presa da un mio vecchio post: "La narrativa di genere è uno straordinario specchio deformante della realtà: ci permette di esaminarla in forma distorta, ovvero simbolica. Sta a noi cogliere la metafora e quello che ci vuole insegnare."

      Secondo me il bello della passione che ci accomuna è che più vai avanti, più cose impari. Alcune delle quali ti portano in direzioni che all'inizio non avresti nemmeno immaginato.

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  11. Per me è un problema che mi pongo ogni volta che pubblico un racconto... Uno dei miei racconti più riusciti (per me) è una metafora di un ragazzo che viene mandato in collegio. Ha un aspetto fantascientifico (un viaggio in astronave) e molti lettori si perdono in questo aspetto e non hanno mai capito il vero significato

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    1. La narrativa di genere si porta dietro spessissimo questi problemi... C'è chi la etichetta come "facilona, popolare" e poi magari dietro ci sono cose più grandi, che però non vengono colte perché non le si vuole cogliere per pregiudizio oppure per pigrizia.
      Grazie, Ferruccio.

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