sabato 31 ottobre 2020

Ore d'Orrore: la Coulrofobia

Ben ritrovati, piccoli zombiettini miei. Il vostro amato Dottor χ è tornato ancora una volta. Sapete, io non sono mica uno di quei dottori che fanno dire 33... Io preferisco il 666. E che dirvi della mia bella assistente Vulnavia? Stasera ha un appuntamento con un ghoul (non voglio sapere in quale ristorante andranno...), e si è truccata talmente tanto da sembrare un clown. Cosa che cade giusto a proposito, essendo i pagliacci il pauroso argomento di oggi...


Evil Clown 
Il pagliaccio (inteso come evil clown) ha un posto speciale nell'immaginario horrorifico, tanto da essere ormai un archetipo. Questa figura è stata iconizzata dal romanzo It di Stephen King (1986), ma anche diversi film l'hanno trattata in maniera anticonvenzionale. In Killer Klowns from the Outer Space (1988) i clown sono dei malvagi alieni: i protagonisti ipotizzano che un tempo avessero visitato la Terra a bordo della loro astronave a forma di tendone da circo e che il loro aspetto strano avesse ispirato i pagliacci. In Clown (2014) è un demone islandese: ogni inverno scendeva dalle montagne verso i villaggi, attirava a sé cinque bambini (uno per ogni mese più freddo dell'anno), per poi divorarli. 

Origini ed Evoluzione
Storicamente la figura del pagliaccio si è sviluppata da alcuni personaggi della commedia dell'arte, a loro volta basati su personaggi del teatro greco e romano noti come sklêro-paiktês (da paizein, cioè “giocare come un bambino") o con altri termini generici che significavano "rustico, contadino"; un'altra ipotesi è che derivi da "paglia". La parola inglese clown risale al XVI secolo, col generico significato di "rustico, contadino"; la sua origine è incerta, forse da klunni, termine islandese affine a "maldestro".
Il pagliaccio inteso come pazzo o buffone si sviluppò in Inghilterra nel XVII secolo nel teatro elisabettiano, ed era sostanzialmente affine al giullare o buffone di corte: un personaggio che aveva lo scopo di far ridere, ma anche di mostrare, attraverso la micidiale arma dell'ironia, quella verità nascosta dietro trucchi e maschere, evidenziando le incongruenze del nostro essere umani. In seguito si evolse ispirandosi alla commedia dell'arte, e da lì il clown cominciò a essere un personaggio preciso e distinto. Le sue caratteristiche classiche furono sviluppate nel XIX secolo da Joseph Grimaldi, attore britannico di origini genovesi. Il clown più riconoscibile è il tipo Auguste (in Italia chiamato Toni) o "pagliaccio rosso", con costumi stravaganti caratterizzati da un trucco peculiare, parrucche colorate, calzature esagerate e vestiti colorati. 
L'archetipo del clown malvagio ha origini poco chiare; se ne trova già qualcosa nel racconto Saltaranocchio di Edgar Allan Poe (1849) e nell'opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo (1892). Joker, apparso nel 1940 nel primo numero di Batman, ne condivide molti tratti; prima dell'incidente nell'industria chimica che lo ha sfigurato e reso folle, era un criminale chiamato Cappuccio Rosso.
Nel 1978 venne arrestato John Wayne Gacy, maniaco sessuale, serial killer e rapinatore, divenuto noto come "Killer Clown": si scoprì infatti che si era esibito col nome di Pogo il Clown a feste per bambini e altri eventi. Gacy in realtà non commise i suoi crimini vestito da clown, ma questo contribuì lo stesso al formarsi di un certo immaginario attorno a questa figura. 

Psicologia
I pagliacci usano un trucco grottesco e costumi che tendono a esagerare i tratti del viso o alcune parti del corpo, quali mani e piedi. Di norma questo viene letto in maniera buffa, ma a volte può essere visto come deforme o mostruoso, tanto che sono state messe in evidenza le somiglianze tra l'aspetto del clown e le rappresentazioni di demoni e altre creature infernali in alcune culture. Il trucco del clown ne nasconde il volto come una maschera, il che può essere visto come una potenziale minaccia; in questo c'è un'affinità con la mascafobia, la paura delle maschere. L'occultamento o mascheramento del viso riesce a dare una certa "libertà", perché elimina temporaneamente dal rapporto sociale la parte del corpo attraverso cui i sentimenti e gli atteggiamenti di un individuo sono maggiormente rivelati o deliberatamente comunicati. Inoltre un sorriso fisso e immutabile può venire percepito in maniera dissonante dal cervello: sorridere è un segno positivo, ma sorridere sempre dà l'idea che ci possa essere sotto qualcosa, che sia un modo per nascondere le reali intenzioni e pensieri. L'immutabilità dell'aspetto e del comportamento viene percepita come sospetta, potenzialmente pericolosa, e di conseguenza attiva il sistema della paura. 
Emerge allora il forte carattere perturbante del clown, ovvero il concetto freudiano del das unheimliche: quando qualcosa è familiare ed estraneo allo stesso tempo, generando uno spiacevole senso di turbamento e inquietudine. Il comportamento del clown è trasgressivo, inaspettato e illogico, praticamente antisociale; è imprevedibile, fa scherzi, si muove in maniera strana, perciò è in grado di produrre sensazioni di disagio e turbamento. La paura dei pagliacci si chiama coulrofobia, e nasce da bambini, in quanto essi sono molto reattivi a un tipo di corpo familiare con un volto non-familiare, perciò perturbante.

Psicanalisi
Radford sostiene che gli evil clown hanno la "capacità di cambiare con i tempi" e che oggi i pagliacci malvagi si siano evoluti nei troll di Internet. Anche senza indossare il costume da clown, colpiscono lo stesso le persone per il proprio divertimento, prendendole in giro e dicendo quella che loro ritengono sia la "verità", come anticamente faceva il buffone di corte.
Nel mio saggio Ore d'Orrore ho espresso il parere che il troll rappresenti piuttosto l'essenza del fantasma, con cui condivide molte caratteristiche. Demoni e fantasmi si manifestano come perversione dell'archetipo del Buffone (uno dei cinque archetipi dei protagonisti delle storie di paura). Il Buffone è legato all'emozione della gioia, e nel momento in cui essa diventa il sentimento unico e dominante, quando la ricerca continua di divertimento diviene l’unico scopo da perseguire, si corrompe divenendo il fantasma oppure il demone. Si tratta di figure che si manifestano allo scopo di divertirsi, ingannare e sfruttare gli altri, connotate da una mancanza di rispetto per gli spazi altrui, che invadono con la loro presenza perturbante, traendo soddisfazione dalle proprie malevoli azioni. Se il clown è un'incarnazione dell'archetipo del Buffone, dovremmo considerare il suo pervertimento, ovvero l'evil clown, alla stregua di un demone. Non a caso il personaggio di Arlecchino era in origine il demone Hellequin.
Dal punto di vista psicanalitico questo corrisponde a un Io dissociato, ovvero distaccato dal corpo e dalle emozioni, che cerca di nascondere a se stesso e agli altri per mezzo del trucco e dei travestimenti, e con un umorismo esasperato e fuori luogo; dal punto di vista psicopatologico l'evoluzione è verso una personalità schizoide, contraddistinta dalla paura del contatto con gli altri, visti unicamente come oggetti di comodo, e non come persone reali.
Perciò la domanda rimane sempre: cosa si nasconde davvero dietro il trucco e quell'umorismo sfrenato del clown? Cosa resta, una volta che gli si è tolta la maschera?

Potete trovare il mio libro Ore d'Orrore. Un saggio sugli archetipi delle storie di paura cliccando qui. Non mi resta che augurarvi uno spaventoso Halloween!

15 commenti:

  1. E pensare che i pagliacci secondo una famosa opera erano personaggi tristi, che il loro poi mestiere è far ridere, ora meno vedo meglio è :D

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    1. Proprio per l'ambivalenza di questa figura, già molto presto si fecero notare le sue contraddizioni. Del resto il clown vuole far ridere attraverso l'esasperazione di un aspetto deforme o con comportamenti similari a quelli di un tardo di mente o menomato fisicamente; atavicamente deforme corrisponde a malato, quindi a un qualcosa che va tenuto lontano, così che non possa contaminare la tribù e indebolirla. Per noi gente più moderna trovare buffa la deformità è riprovevole, in quanto significa non-accettazione della diversità, quindi qualcosa di triste. Allora tutte queste dissonanze nel nostro cervello non ci mettono del tutto a nostro agio con i pagliacci.

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  2. Secondo me, per rispondere alla tua domanda finale, non resta che il vuoto della tristezza.
    Si dice spesso, o sbaglio, che i pagliacci siano tristi?
    La storia di Pogo è nota, penso che tutto (il moderno) venga da lì.
    Ma questa fobia è perché percepiamo qualcosa di mostruoso e triste nel trucco, perché di fatto i pagliacci hanno solo un finto sorriso...
    Devo citare anche Ronald McDonald come icona abbastanza moderna di un pagliaccio canonizzato.

    Moz-

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    1. Secondo me non il pagliaccio (inteso come la persona che ricopre questo ruolo) a essere triste, ma la figura in sè.
      Un sorriso immutabile può essere finto, e da ciò possiamo percepire tristezza o pericolo. Ma anche la risata esasperata: la associamo al malato di mente, che spesso possono essere violenti, in quanto non sono padroni delle loro azioni, e quindi fa scattare nel nostro cervello un campanello d'allarme.
      Ovviamente è anche per la capacità di contestualizzare: il clown inserito nello spettacolo è divertente, fuori contesto stona, e si arriva al perturbante. Ma per un bambino piccolo, non in grado di capire il concetto di rappresentazione che c'è alla base di uno spettacolo, può vederci solo gli aspetti dissonanti.

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  3. In effetti ricordo bambini molto piccoli che al circo, vedendo i pagliacci, piangevano invece di divertirsi, spaventati in particolare dalle rumorose e improvvise risate del clown di turno. L'unico esempio di personaggio clown che mi viene in mente è uno "cattivo" che molesta il protagonista de "il laboratorio di Dexter" ma viene sconfitto dal suo mortale nemico: il... mimo.

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    1. Beh, nei fumetti ci sono diversi personaggi non-positivi che sono assimilabili a questa figura: oltre a Joker, c'è l'originale Harley Queen, e poi Trickster (uno dei nemici di Flash). Sono tutti caratterizzati da un umorismo esasperato e fuori luogo, che crea dissonanza (perché correlato alla malattia mentale).

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  4. Non amo i clown. Ma proprio per niente. Colpa di mia madre. Quando ero piccola mi regalò una bambola con le fattezze di un pagliaccio: aveva una orribile faccia di plastica e braccia e gambe lunghissime di stoffa imbottita. Siccome rifiutavo di giocarci perché non mi piaceva (per usare un eufemismo), me lo legò intorno al collo e alle spalle. BOOM! Per farti un un'idea: era molto simile a quello che tormenta Robbie in "Poltergeist". Quando ho visto il film m'è preso un colpo per via di quella maledetta bambola.
    Grazie per avermi fatto ricordare tutto questo :|
    Il post è molto interessante, soprattutto nella parte dedicata alla psicanalisi. Non sapevo che Arlecchino derivasse dal demone Hellequin, ma ho sempre trovato che ci fosse qualcosa di fin troppo stonato in questa maschera. Mai provato simpatia per Arlecchino. In effetti, la figura del clown la vedo quasi solo nella sua accezione negativa, anche se non necessariamente in una veste diabolica - come degenerazione del Buffone. Il sorriso, l'esagerazione dei gesti e l'allegria forzata e sopra le righe mi fanno pensare a qualcosa che è falso per propria convenienza (tutt'altro discorso, ovviamente, per la persona che interpreta il clown: non mi fa ridere, ma è chiaro che il suo scopo è creare divertimento). Ho sentito anche io definire i clown come "tristi" e ho spesso pensato che la tristezza fosse un tranello, un altro modo - oltre alla risata - per farsi avvicinare. Insomma: qualunque cosa nasconda la figura del clown dietro il trucco, non penso sia niente di buono e diffido.

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    1. Ah sì, il pupazzo-clown in Poltergeist è paurosissimo, me lo ricordo!
      Cliccando sul nome Hellequin trovi anche il post che avevo dedicato a una pratica folkloristica che in Piemonte è chiamata ciabra, le sue connessioni col Carnevale, e l'evoluzione del demone Hellequin in Arlecchino.
      Quello del clown è un travestimento, una maschera (come anche Arlecchino, del resto): un travestimento è un inganno, e una maschera serve a nascondere qualcosa. Da qui i sentimenti di sospetto che nascono verso questa figura.

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  5. Halloween a parte, che è una festa che io non amo per niente, questa analisi sulla paura del clown è molto esaustiva. Da bambina mi terrorizzavano tre cose: le bambole di porcellana (mia nonna ne teneva tre sul comò terrificanti), le sedie a dondolo (ricorrente nei film horror) e i pagliacci. Odiavo il circo in primis per la loro presenza inquietante, in più non mi facevano ridere e non mi facevano dormire la notte. Infatti, non so se per masochismo o per tentare di smontare questa fobia, lessi il mio unico King, It, e il fatto di vedere trasposta una mia paura in una storia finta, paradossalmente, anziché terrorizzarmi di più, mi ha per così dire guarita.
    E comunque, la psicologia che descrivi nell’articolo è perfetta. Solo che ho un problema: riuscire a ricordare il nome della fobia. 🤔

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    1. Per le bambole... ne riparleremo tra qualche mese. 😲
      Io appartengo alla generazione che è rimasta traumatizzata dal film It. O meglio dalla messa in onda su Italia 1 del trailer. Quest'estate una mia collega che insegna Biologia mi ha detto che da bambina anche lei ne era rimasta terrorizzata. Solo dal trailer.
      Insomma, i pagliacci sono proprio paurosissimi, e vedo che tutti concordate sul fatto di trovarli perturbanti.

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    2. Se non sbaglio, in greco "coulros" vuol dire "trampoli". Quindi la coulrofobia letteralmente sarebbe "la paura di quelli che stanno sui trampoli".

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    3. In casa, non manca il vocabolario di greco ☺️ e ho cercato: ho trovato un kolobatron col significato di trampolo, quel termine tuo no, però, magari è una derivazione o chissà. Comunque sì, è una paura che coinvolge tante persone.
      Ora aspetto che tu parli di bambole: quelle sono ancora più terrorizzanti, secondo me.

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    4. Ah ecco, vedi? Ricordavo il significato giusto, ma non il termine esatto.

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  6. Ho sempre trovato disturbanti pagliacci e maschere, anche se non al punto da averne paura. Credo che abbia contribuito il fatto di immaginare me stessa, diciamo introversa, al loro posto, con tutto l'imbarazzo del caso (questo da bambina). I clown non sono abbastanza dignitosi per me. ;)

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    1. La maschera a livello psicanalitico indica il nascondere qualcosa, quindi il subconscio ci grida un allarme. L'aspetto strano del clown e il suo comportamento, illogico, che ride sempre, a livello subliminale può venire associato al malato di mente, e quindi mettere a disagio.
      E' vero: il clown sacrifica la propria dignità per far ridere. Vedo che in tanti li trovate inquietanti e perturbanti, però ne viene dimenticato un aspetto: esiste anche la clownterapia, che serve per aiutare a sollevare gli animi dei bimbi ricoverati in ospedale. Fa parte della terapia del sorriso di Patch Adams.

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